Iniziato nel 1096 - all’epoca della prima Crociata - su un luogo di culto precedente, fu realizzato di getto in soli cinque anni e consacrato dal Vescovo di Feltre, Arpone, il 13 maggio 1101.
Di stile romanico con chiari influssi bizantini, è a croce greca, a tre navate con transetto e cupola centrale ed è preceduto da un protiro costruito dai Padri Fiesolani.
Una lunga e imponente gradinata fiancheggiata da muretti, costruita alla fine dell’ottocento dall’architetto feltrino Giuseppe Segusini (1801-1876), caratterizza la salita e l’accesso al Santuario. In primo piano le statue dei due Patroni.
Esistono innumerevoli santuari nel mondo ed ognuno ha un suo messaggio specifico. Il Santuario dei Santi Vittore e Corona di Feltre da più di nove secoli continua ad attirare persone di ogni condizione sociale, dagli imperatori del Sacro Romano Impero come Carlo IV di Boemia agli artisti medioevali che ne hanno affrescato le pareti, dagli uomini di cultura all’umile gente del popolo. Esso racchiude un messaggio che trova il proprio centro nell’arca dei Santi Martiri e viene ampliato dal linguaggio affascinante e misterioso delle pietre e dei colori.
UNA CITTADELLA SUL MONTE
La collocazione del Santuario è particolarmente suggestiva, posto sulle pendici del monte Miesna e a strapiombo di una roccia dirupata, di fronte alle bellissime vette delle Dolomiti feltrine. Nella storia delle religioni e nella Bibbia il monte è il luogo per eccellenza della manifestazione della divinità. “Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?” recitava il pio pellegrino che saliva verso il tempio di Gerusalemme.
I salmi cosiddetti delle ascensioni, quelli dal 121 al 134, possono essere di prezioso aiuto per chi desidera compiere a piedi e nel silenzio l’ultimo tratto di strada che, da Anzù, si inerpica verso il Santuario, lasciandosi alle spalle la frenetica e caotica vita di ogni giorno.
Lungo il sentiero si incontreranno le sei cappelline che i Padri Somaschi edificarono tra il 1669 e il 1771 e che furono oggetto, nel corso dei secoli, di grande devozione e di poetiche tradizioni popolari.
La bellezza incontaminata della natura diventa un ulteriore invito, nello spirito francescano dei Frati Minori che ressero il Convento di S.Vittore dal 1852 al 1878, a lodare il Creatore: “Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra” (Ps. 121, 2).
LA SCALINATA
Sono ben tre le scalinate che ci introducono al Santuario: quella ristrutturata nell’800 dall’architetto feltrino Giuseppe Segusini con ai lati le statue dei santi Vittore e Corona e collocata appena dopo il suggestivo “Capitello dell’Angelo”, quella antistante il portale e una terza, di dieci gradini, che si incontra appena si entra nell’atrio o nartece.
Nella storia della spiritualità la scala è spesso usata come simbolo delle ascensioni interiori. San Giovanni Climaco ha scritto un’opera nella quale articola le varie fasi di un cammino spirituale da compiersi con gradualità e decisione per “elevarsi dalla terra e salire fino al cielo”. Gli fa eco S. Isacco il Siriaco: “La scala di questo regno celeste è nascosta dentro di te, nella tua anima. Lavati dunque dal peccato e scoprirai gli scalini per i quali salire”.
IL PORTALE
Il portale è molto di più di un elemento funzionale che permette di passare da un ambiente ad un altro. Soprattutto nella tradizione cristiana esso ha assunto un ricchissimo significato simbolico.
Gesù stesso si è presentato come la vera porta che permette di accedere al Regno dei cieli: “Io sono la porta, se qualcuno entra attraverso di me sarà salvato” (Giovanni 10, 9).
Oltre che richiamo a Cristo il portale, soprattutto di stile romanico quale è quello del Santuario di S. Vittore, diventa invito a scoprire da subito la struttura interna della chiesa.
Formato di due parti, i battenti e la nicchia, sembra anticipare formalmente le navate longitudinali riservate ai fedeli e l’abside in cui si celebrano i divini misteri.
Simbolicamente esso indica anche la porta celeste nel suo duplice movimento di introdurre le anime in Paradiso e di lasciar scendere sugli uomini, ancora in cammino sulla terra, la ricchezza della grazia.
Varcare la porta di una chiesa diventa allora invito a lasciarsi interiormente trasformare, ad assumere decisioni spiritualmente ricche e generose.
LA FORMA
ARCHITETTONICA
La pianta del Santuario di S. Vittore è a croce greca inscritta con cupola. È in Oriente che tale tipologia è maggiormente diffusa mentre in Occidente prevale la forma oblunga, spesso con transetto.
La croce greca crea un gioco molto armonico di simmetrie e di corrispondenze spaziali che dialogano con la cupola, qui visibile solo all’interno, sorretta da quattro robusti pilastri e, simbolicamente, evocante il cielo. È nella celebrazione liturgica che tale mistero si attua in pienezza allorché Cristo si fa presente sull’altare, nel segno del pane e del vino, realizzando quanto si legge nell’Apocalisse: “Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come uno sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro” (Ap. 21, 2-3).
IL MARTYRIUM
Il cuore del Santuario è il martyrium che accoglie al suo centro l’arca dei Santi Martiri Vittore e Corona.
Di stile romanico essa anticamente era collocata sul pavimento. Nel 1440 il Vescovo di Feltre Enrico Scarampi la fece sollevare da terra ponendola su un lastrone decorato da uno stupendo fregio di boccioli e foglie accartocciate sorretto da quattro colonne.
In tal modo i fedeli potevano con più facilità inginocchiarsi in preghiera accanto ai loro patroni e lasciarsi quasi immergere dalla loro testimonianza di fedeltà a Cristo.
Significativamente l’arca è collocata, nell’abside, accanto all’altare, quasi ad esprimere un identico mistero di amore.
Scrive S. Agostino: “Cristo patì per noi lasciandovi un esempio perché ne seguiate le orme (I Pt. 2, 21).
Così hanno fatto con ardente amore i santi martiri e, se non vogliamo celebrare inutilmente la loro memoria, se non vogliamo accostarci infruttuosamente alla mensa del Signore, bisogna che anche noi, come loro, siamo pronti a ricambiare il dono ricevuto.
Essi, infatti, hanno toccato il vertice di quell’amore che il Signore ha definito come il più grande possibile.” (S. Agostino, Trattato su Giovanni, 84,1).
IL LOGGIATO
Autentico gioiello dal punti di vista architettonico è il loggiato che circonda l’arca dei Martiri. Caratteristici sono gli otto capitelli di tipo cubico “scantonato” con decorazione a niello, riempiti nelle parti incavate da una pasta bituminosa.
Le colonne sono di finissimo marmo greco ed anticamente erano congiunte da plutei. Gli archi a tutto sesto contribuiscono a dare un senso di grazia e di leggerezza a tutto l’ambiente.
C’è un altro particolare che merita di essere evidenziato. Secondo alcuni studiosi un capitello presenterebbe, in caratteri cufici, la scritta del Corano (3, 189): “L’universo è di Dio”. In ogni caso è indubbio il carattere arabo della decorazione dei capitelli i quali, insieme alle colonne di origine greca e ai Santi Martiri di provenienza orientale, diventano quasi un invito a respirare in un clima di universale dialogo tra culture e religioni.
GLI AFFRESCHI
Databili tra la fine del XII e l’inizio del XVI secolo gli affreschi del Santuario costituiscono il complesso più interessante di pitture murali eseguite nell’alto Veneto. Si tratta di un insieme di grande rilevanza soprattutto per la presenza di artisti delle scuole di Giotto, di Tommaso da Modena e di Vitale da Bologna.
Per i pellegrini essi sono stati soprattutto un’autentica Bibbia dei poveri che illustrava la ricchezza del messaggio cristiano.
San Cristoforo sembra quasi introdurci in questo mondo. Nel Santuario appare due volte, solenne e maestoso nell’affresco bizantino, più dimesso in quello trecentesco. Nel primo il Bambino Gesù è raffigurato benedicente, nel secondo ha in mano un cartiglio sul quale è scritto “Ego sum lux mundi et via et veritas et vita – Io sono la luce del mondo, la via, la verità e la vita”.
Il santo è il protettore dei pellegrini ma, in fondo, di ogni uomo in viaggio verso Cristo raffigurato, nel bellissimo dipinto giottesco del lunettone di sinistra del presbiterio, nella gloria dei cieli e alla fine dei tempi, in atteggiamento di accoglienza dei beati e di condanna di quanti lo hanno rifiutato. L’immagine del Cristo Pantocratore, del Dominatore di tutto l’universo, viene ripresa anche sopra la porta laterale di destra che collega il Santuario con il chiostro.
Tra le due venute di Gesù si inserisce il tempo della Chiesa. Essa ci offre la Parola che trova risalto, nella volta del Martyrium, nella raffigurazione simbolica dei quattro evangelisti e dei Padri che maggiormente ne hanno approfondito la ricchezza: S. Agostino e S. Gregorio da un lato, S. Gerolamo e S.Ambrogio dall’altro.
Vertice dell’azione della Chiesa è l’Eucarestia. Ben due sono le raffigurazioni dell’Ultima Cena nel Santuario: una, più raffinata, nel lunettone destro del presbiterio e un’altra, più popolare, in fondo alla chiesa sulla parete destra, con una lunga tavola imbandita con caratteristici gamberi di fiume simboli della povertà proposta da Cristo ai suoi discepoli o del tradimento imminente di Giuda.
Il frutto più bello della Chiesa è la santità che trova un’espressione altissima in Maria di Nazareth. A S. Vittore essa è raffigurata ripetutamente e in vari atteggiamenti: madre che allatta il figlio circondata dagli angeli, regina dell’universo assisa su di un prezioso trono goticheggiante, protettrice dei fedeli simbolicamente difesi dal suo mantello, guida delle anime verso il Paradiso nella scena del Giudizio Universale.
Numerosissimi sono anche i santi raffigurati sulle pareti del Santuario. Essi sembrano quasi l’anticipazione di quella “moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua” di cui parla l’Apocalisse (Ap. 7, 9). Per il pellegrino sono intercessori di grazie e modelli concreti ai quali ispirarsi nella propria vita. Oltre a S. Francesco di Assisi e ad Agnese di Praga vi sono S. Martino di Tours mentre divide il suo mantello col povero, S. Caterina, S. Sebastiano, S. Giuliana e tanti altri.
Un posto d’onore lo hanno i Santi Vittore e Corona. Nel transetto di sinistra è rappresentata la vicenda del loro martirio. Sulla stessa parete un artista del XV secolo li raffigura, circonfusi di gloria, con la palma e la corona della vittoria.
La loro presenza benefica ha attraversato i secoli e continua ad essere un dono inestimabile anche per il nostro tempo. Scrive Giovanni Paolo II nella Lettera Tertio Millennio Ineunte: “Un segno perenne, ma oggi particolarmente eloquente della verità e dell’amore cristiano, è la memoria dei Martiri. Sono coloro che hanno annunciato il Vangelo dando la vita per amore. Il martire, soprattutto ai nostri giorni, è segno di quell’amore più grande che compendia ogni altro valore”.
LE SCULTURE
Nella lesena della navata di sinistra è collocato il Sacrario. Esso aveva la funzione di custodire gli oli santi, è datato 1480 ed è caratterizzato dallo stile veneziano tardogotico o fiorito. Le immagini che vi sono scolpite rappresentano una piccola sintesi della storia della salvezza: dall’Annunciazione dell’Angelo a Maria alla Passione, col Cristo posto in un sepolcro dal quale risorgerà nonostante la guardia dei due soldati assonnati, dagli Evangelisti che hanno trasmesso questa meravigliosa avventura dell’amore divino ai Santi Vittore e Corona che l’hanno testimoniata con la propria vita.
Dall’altra parte della navata c’è un’antica cattedra di pietra, dalle linee molto semplici, probabilmente adoperata dai vescovi di Feltre.
Sopra la porta dell’attuale sagrestia è collocato il sarcofago del capitano Giovanni da Vidor, il costruttore del Santuario. Si presenta elegante nei fregi e nei capitelli bizantini a foglie d’acanto mosse dal vento.
Completano la serie delle sculture due pregevoli raffigurazioni di San Vittore, una a tutto tondo e l’altra, in bassorilievo, presso l’arca dei Martiri.
IL CHIOSTRO
Esso venne costruito dai Padri Fiesolani nel 1495 su autorizzazione di Papa Alessandro VI. È a due ordine di loggiati, impreziosito da una serie di affreschi della fine del secolo XVI che raffigurano, con stile popolare, la storia del Santuario e della Città di Feltre.
È un angolo di pace che invita alla meditazione e alla preghiera. Per San Bernardo di Chiaravalle il chiostro significava la possibilità che l’uomo ha di salire, dalla limitatezza della terra, all’infinità del cielo.
Dopo essere stato luogo di preghiera per gli ordini religiosi che si sono succeduti, dei Fiesolani dal 1495 al 1668, dei Somaschi dal 1668 fino al 1777, dei Minori Osservanti dal 1852 al 1878, il chiostro di S. Vittore continua oggi la sua funzione di spiritualità aperto a tutti, dopo che il Santuario è stato affidato ai sacerdoti diocesani e l’antico convento è diventato una accogliente casa per ritiri ed esercizi spirituali.
Padre David Maria Turoldo così canta il perenne fascino del chiostro:
“Archi, capitelli, colonne
voi non siete che forme dello spirito, la sintesi;
Egli si è fatto in noi di carne,
noi ci siamo fatti in voi di pietra,
per essere tutti insieme l’unità
e come ogni mattone ha bevuto
una goccia del suo sangue
così ognuno canti ora
la nota della sua smisurata libertà.
Perché voi siete tutti insieme l’Armonia”.